riforma pensioniLa riforma delle pensioni è uno dei punti di snodo del nuovo Governo Monti. Quello che nessuno nel precedente mandato aveva avuto il coraggio di fare per le opposizioni della Lega Nord all’interno della maggioranza e dei sindacati come la Cgil, sta per divenire realtà.
La vera novità sarà l’abbattimento del criterio di anzianità, che comporterà l’innalzamento dell’età pensionabile obbligatoriamente a 62-63 anni. Chi conosce le intenzioni del nuovo ministro del lavoro Elsa Fornero, parla anche di un sistema di disincentivazione per chi vuole andare in pensione a 65 anni e di un meccanismo premiante per chi giunge a lavorare fino a 70 anni. Questo innalzamento dell’età è concepibile se si considera il fondamentale passaggio dal modello retributivo attuale a quello contributivo. Secondo il primo criterio la pensione di anzianità, a differenza di quella di vecchiaia, si otteneva al superamento di una determinata età attraverso il sistema delle quote, cioè la somma fra età anagrafica e contributi versati. In termini monetari la pensione era proporzionale al salario percepito, da qui le pensioni d’oro. Ora conteranno solo le rate dei contributi versati.
Si delinea infine l’abolizione almeno parziale delle super pensioni dei parlamentari, ma a fronte di una riforma così sostanziale questo punto passa in secondo piano.
I sindacati, di primo acchito, sembrano essere d’accordo sulla riforma pensionistica, il Parlamento per ora acconsente ma il ministro Fornero ha già accennato al rischio di prendersi sulle spalle un’ondata di antipatia quando le misure saranno concretizzate: “Sui provvedimenti bisognerà metterci la faccia: sperando che non ce la massacriate”. Nel dubbio, è meglio che la premiata ditta Monti & Fornero prepari il paradenti.