Il titolo Unicredit ha collassato: una perdita di oltre il 35% in tre giorni. Troppo. Non a caso la Consob ha aperto un’indagine per vedere con più chiarezza se non siano in atto speculazioni di borsa. Parlare di pericolo di fallimento, come qualcuni si è arrischiato a fare, non è esatto: solo due mesi fa il Financial Stability Board aveva inserito Unicredit nella lista delle banche too big to fail. Eppure l’aria che si respira sembra viziata da aspetti poco chiari. La più grande banca sistemica italiana ha fondamenta liquide e a Piazza Cordusio le acque si stanno intorbidendo.
Forse la partenza del presidente del Consiglio Monti per Bruxelles non è stata un caso: il crollo di una banca sistemica avrebbe conseguenze gravissime. Per questo l’aumento di capitale richiesto agli azionisti da lunedì, circa 7,5 miliardi di euro, ha l’aria di una sentenza. Monti si è affrettato a spiegare che il sistema bancario italiano è solido, anche se soggetto alle oscillazioni dovute alla debolezza del debito pubblico.
Allora a cosa si deve questo ribasso in Borsa? Secondo il Sole24ore si tratta solo di un calo tecnico dovuto appunto all’aumento di capitale e all’emissione delle nuove azioni, più convenienti di quelle attuali. Praticamente il prezzo delle vecchie azioni si starebbe adeguando a quello di quelle nuove, dimezzando il valore. C’è chi parla invece della possibile uscita di un socio importante, che verrà sostituito da qualche altro altrettanto rilevante. Qualche dito punta anche sulla questione della percentuale libica della banca, un 2,5% che è lì congelato da troppo tempo, altri più banalmente sugli hedge found. Insomma, la situazione è complessa: è riduttivo sostenere che il crollo in borsa di Unicredt sia un calo solamente “tecnico”. Gennaio sarà decisivo per Unicredit, specchio di un sistema bancario generale che mostra crepe difficili da estinguere.
Aggiornamento: Lunedì 9 gennaio Unicredit ha perso il 9%, il tracollo continua.