La Chiesa apre le porte all’Ici. Dopo l’ondata di proteste di anticlericali convinti ma anche di laici e cattolici, Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha voluto specificare che non ci sono chiusure da parte degli enti ecclesiastici verso l’Ici, il cui ripristino è pronosticato dalla manovre economica del governo Monti. In realtà l’obbiettivo del cardinale Bagnasco è quello di dimostrare che la Chiesa cattolica non ha un vero privilegio rispetto ad altri enti. Il concordato stabilisce che non siano richieste tasse come l’Ici nel caso di luoghi di culto, ma questo vale per tutte le religioni che hanno un accordo pattuito con lo Stato. In secondo luogo la Chiesa non paga l’Ici su ambienti destinati esclusivamente all’operato di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, culturali, ricreative e sportive. Questa regola vige anche per aziende sanitarie, pro loco, Onlus, enti sindacali e partitici.
Insomma, la Chiesa apre alle critiche ma attua anche una difesa da quella procedura antitrust avviata dall’Unione Europea nel 2010 e tuttora in corso: l’accusa è quella di godere di privilegi statali. In realtà gli immobili ad uso commerciale di proprietà della Chiesa sono già tassati dal 1992, anno dell’istituzione dell’Ici, anche se le leggi attinenti, con i cambiamenti attuati dai vari governi di destra e sinistra, hanno sfumature che permettono una certa libertà di interpretazione circa il tipo di attività svolta dell’ente ecclesiastico. Ma che poi la Chiesa non paghi o camuffi alcuni immobili da enti caritatevoli, grazie a cappellette di due metri per due, è ben altro discorso rispetto alle polemiche attuali. In sostanza si evoca a gran voce una legge che già c’è, invece di porre l’accento sull’inganno: alcuni enti ecclesiastici stanno facendo evasione fiscale. Questo però non è un privilegio della Chiesa, bensì un vizio del tutto mondano ed italico.