Il caso Penati continua ad agitare le acque del PD. L’ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex Presidente della provincia di Milano continua a negare le accuse e sostiene di non essersi mai arricchito attraverso la politica. Il PD, attraverso il Segretario Bersani spinge affinché Filippo Penati rinunci alla prescrizione e si lasci giudicare dalla Magistratura, che però non ha usato mai toni leggeri: parlare di “direttorio finanziario democratico” a proposito del presunto sistema di corruzione instaurato dall’ex vessillo del PD in Lombardia sa tanto di condanna già scritta.
Mentre è partita la scontata operazione di isolamento dell’“appestato” molti si chiedono se sia possibile che nessuno nel partito di punta della sinistra fosse a conoscenza di nulla, dato che i soldi presi avrebbero avuto lo scopo di rafforzare per vie traverse le casse del partito. In effetti stupisce che un sistema di corruzione abbia funzionato per quindici anni, senza che nessuno si sia mai accorto di niente.
Non stupisce invece questa barriera tra quelli “puliti” e quelli “probabilmente sporchi” messa in scena da Bersani, un classico della sinistra, che per la sua statura morale non attende giudizi definitivi ma giudica prima del tempo, ed in questo è molto vicina al pensiero di certe fronde della magistratura, per cui il garantismo diventa un termine obsoleto.
In tutto questo, a farne le spese è ancora la politica: a Sesto San Giovanni Penati era quasi un idolo, un Vasco Rossi della politica. Ora è vicino all’espulsione dal Partito, ma quello che più conta è l’estromissione dal cuore della gente. La forbice tra cittadino e politica si sta allargando sempre di più. Occorre voltare pagina, senza bruciare i libri però: i toni da santa inquisizione non salvano i peccatori.